L’art. 42-bis del “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità” (d.lgs. n. 151/2001) prevede che il genitore con figli minori fino a tre anni di età, dipendente di amministrazioni pubbliche, possa essere assegnato, su sua richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore eserciti la propria attività lavorativa. Tale assegnazione può avvenire solo ove vi sia un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva nella sede di destinazione e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. La norma prevede espressamente che l’eventuale dissenso debba essere motivato e limitato a casi o esigenze eccezionali.
La giurisprudenza largamente maggioritaria ritiene tale previsione applicabile anche al personale delle Forze armate, anche se tale personale non rientra testualmente nella categoria dei lavoratori appartenenti alle amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2, d.lgs. n. 165/2001, cui la norma rinvia (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 23 maggio 2016, n. 2113). Infatti, si ritiene che il beneficio previsto sia finalizzato alla tutela di valori costituzionali di rango primario, legati alla promozione della famiglia ed al diritto-dovere di provvedere alla cura dei figli. Inoltre, l’art. 1493, co. 1, del Codice dell’ordinamento militare (d.lgs. n. 66/2010) prevede espressamente che la normativa vigente per il personale delle pubbliche amministrazioni in materia di maternità e paternità si applichi anche al personale militare femminile e maschile, sia pure “tenendo conto del particolare stato rivestito”. Tale ultimo inciso è stato interpretato nel senso che l’applicazione del beneficio dell’assegnazione temporanea, nel caso del personale appartenente alle Forze armate, debba tener conto anche le esigenze tipiche delle Forze armate stesse e delle peculiari funzioni svolte dal personale impiegato.
A ogni modo, la giurisprudenza – anche con riferimento a genitori militari – afferma spesso che ogni eventuale limitazione o restrizione nell’applicazione della norma deve essere congruamente motivata dall’Amministrazione e che il dissenso deve essere limitato a casi o a esigenze eccezionali, comprovanti l’indispensabilità e/o l’insostituibilità delle funzioni svolte dal dipendente per le esigenze organizzative dell’Amministrazione, che ne risentirebbe altrimenti un irrimediabile pregiudizio (TAR Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 19 luglio 2018, n. 204).
Dunque, se vi sono ipotesi in cui il giudice amministrativo conferma il diniego dell’Amministrazione (ad esempio, da ultimo, TRGA Trento, 29 gennaio 2019, n. 27, in un caso di elevata specializzazione del richiedente, a fronte di una carenza di organico nella sede di provenienza e dell’assenza di posti vacanti e disponibili nella sede richiesta), in molti casi in cui la motivazione è stata ritenuta generica o comunque non sufficiente è stato possibile per i ricorrenti ottenere l’annullamento del provvedimento negativo (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 15 gennaio 2019, n. 73).